di Roberto Farneti (Liberazione)
La partita a scacchi tra governo e Quirinale è appena iniziata. Dopo la clamorosa decisione del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, di rinviare alle Camere il decreto legge sull’arbitrato che, tra i numerosi danni che provoca, crea anche i presupposti per l’aggiramento dell’articolo 18 (prevedendo per i lavoratori la sottoscrizione di clausole, al momento dell’assunzione, in cui si impegnano a non ricorrere al giudice ordinario in caso di licenziamento immotivato) la tentazione prevalente nell’esecutivo sembra ora quella di provare ad aggirare le obiezioni poste dal Capo dello Stato. La disponibilità di facciata ostentata dal ministro del Lavoro Maurizio Sacconi subito dopo l’altolà di Napolitano («terremo conto dei suoi rilievi») e la salita al Quirinale di un Silvio Berlusconi dal volto disteso, nasconderebbero una volontà di segno opposto, che troverebbe conferma nelle soluzioni allo studio dei tecnici del ministero.
Una di queste soluzioni sarebbe il recepimento nella legge dell’avviso comune sottoscritto dalle organizzazioni padronali solo con Cisl e Uil (la Cgil chiedeva e chiede il ritiro del provvedimento), con il quale le parti in questione si impegnavano - ancor prima che la legge venisse promulgata - a escludere il licenziamento dalle controversie che possono essere decise dall’arbitro. Firma che ancor oggi viene rivendicata dal segretario della Cisl Raffaele Bonanni: «Per noi non ci deve essere la clausola compromissoria. La Cgil - attacca Bonanni - avrebbe fatto bene a firmare la dichiarazione comune invece di tenere in piedi il problema, agitando il fantasma dell’articolo 18 senza accorgersi che era già stato tolto di mezzo».
Come spesso gli accade, il segretario della Cisl finge di non capire qual è il punto della questione, peraltro spiegato con precisione da Napolitano. E cioè che tocca alla legge «stabilire le condizioni perché possa considerarsi effettiva la volontà del lavoratore» e non accordi soggetti ad essere rivisti e comunque parziali. Perché le cause di lavoro non hanno come oggetto solo i licenziamenti, ma potrebbero riguardare altri diritti indisponibili dei lavoratori. L’avviso invece, come ha anche sottolineato il segretario della Cgil Guglielmo Epifani, «non innova su altri due punti chiave: la rinuncia alla tutela del giudice all’atto dell’assunzione e l’arbitrato secondo equità. Questo, connesso ai sistemi di certificazione bilaterale, gestiti cioè direttamente dalle parti, fa sì - conclude Epifani - che l’insieme dei diritti dei lavoratori sia più debole».
Non a caso il presidente della Repubblica pretende che la legge specifichi che durante l’arbitrato bisognerà tener conto dei principi generali del diritto del lavoro. Il governo sembra invece intenzionato a delimitare al massimo le materie sulle quali l’arbitro può essere chiamato a decidere. Non solo: la legge affida al ministro del Lavoro la definizione dei campi di applicazione dell’arbitrato nel caso in cui le parti sociali non abbiano trovato un accordo. Norma pensata da Sacconi per “bypassare” le probabili difficoltà a realizzare intese che includessero anche la Cgil. L’unica possibilità per rispondere all’obiezione del Quirinale è che il ministro rinunci a questo potere e conservi solo quello di convocare le parti.
Un ulteriore appunto mosso da Napolitano è quello nei confronti dell’articolo 20 del decreto, con il quale vengono esclusi dalle norme poste a tutela della salute e della sicurezza del lavoratore il personale a bordo dei navigli di Stato. Per questa norma si parla di una probabile soppressione, anche perché ipotizzare una disciplina diversa per una categoria di lavoratori è palesemente incostituzionale.
Le carte sul tavolo saranno gettate dopo Pasqua quando il ddl lavoro tornerà ad essere esaminato dalla Commissione Lavoro della Camera. Sacconi ha chiesto di fare in fretta così da avere il via libera alla legge entro due mesi e comunque prima dell’estate. Paolo Ferrero, portavoce della Federazione della Sinistra, ha inviato una lettera a tutti i leader dei partiti dell’opposizione, rappresentati o meno in Parlamento per chiedere loro una mobilitazione comune contro la riproposizione delle norme bocciate da Napolitano.
Quello di cui non tiene conto il ministro è che, ammesso che il tentativo di aggirare le obiezioni poste dal Capo dello Stato con correzioni di comodo gli riesca, il provvedimento dovrà poi passare al vaglio della Corte Costituzionale. Se i palesi elementi di contrasto con quanto prevede la Costituzione non verranno adeguatamente corretti o rimossi, c’è insomma il rischio che il decreto sull’arbitrato faccia la fine del Lodo Alfano.
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